Su “Proprio allora” di Harry Ricketts

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“In queste poesie Harry Ricketts ha un irriverente tono colloquiale e quando le leggo, sento la sua voce. […] Non ci sono grandi artifici poetici e il soggetto delle sue poesie è frequentemente personale, spesso estremamente delicato, e in genere intessuto di maliziosa ironia”, scrive Maggie Rainey-Smith in una sentita  recensione a Just Then. Ciò che più colpisce nelle poesie di questa raccolta – e nella poesia di Ricketts in generale – è proprio la capacità del poeta di rendere la parola viva, vibrante al punto di uscire dalla pagina scritta e riverberare nell’aria. La poesia di Ricketts, infatti, pare pensata, o istintivamente concepita, in funzione dell’oralità: le parole incarnano il poeta, ne vestono la voce, come se nascessero in prima istanza per poter essere parlate, accompagnate e offerte per tramite del gesto della recitazione ad alta voce.

La poesia di Ricketts è senz’altro positivamente segnata da una esistenza nomadica, che lo ha portato dalla Malesia, a Hong Kong, al Regno Unito e infine in Nuova Zelanda. Il poeta, che in un’intervista afferma di sentirsi “un po’ tutte e due le cose insieme, un outsider e un Kiwi”, sembra infatti trovare la propria identità nelle vesti di un moderno menestrello, avvantaggiato dal fatto di avere “connessioni piuttosto lasche” con i luoghi, e di poterli pertanto “guardare da fuori”, svincolandosi da quella pietas che condiziona lo sguardo di altri poeti in cui legami più stretti con un determinato luogo, fisico o ideale, generano un  più forte senso di appartenenza, che può essere ausilio e limite al contempo. Da qui quel peculiare sguardo, oggettivo eppuere partecipe, gentilmente distaccato, oppure a volte sottilmente amaro, che caratterizza la poesia di Ricketts, e che sfocia nella sua proverbiale, acuta ironia. Come Ricketts afferma nella già citata intervista, il legame che intrattiene con il passato è “meno convenzionale” rispetto a quello che sottende le tematiche di altri poeti più stanziali. Credo che proprio la maggiore autonomia nei confronti del passato e della tradizione letteraria condivisa abbia contribuito ad accordare a Ricketts una maggiore libertà di movimento anche nel verso. Di qui la sua capacità di contaminare i piani del discorso poetico, giustapponendo tradizione e innovazione, inglobando parole appartenenti alla lingua di ogni giorno, espressioni colloquiali o idiomatiche, che coesistono, senza cortocircuiti, con espressioni più eleganti e letterarie, in un melange già di per sé irriverente, anche quando Ricketts non lo sia esplicitamente. Ciò non toglie che vi sia nella poesia di Ricketts una costante ricerca della tensione d’ogni singolo verso. Una forma esatta e lavorata contiene in sé gli opposti senza neutralizzarli, mostrando come proprio l’interiorizzazione della tradizione e la consapevolezza dell’eredità di quel passato convenzionale che sembrava perduto lungo il viaggio abbiano consentito al poeta di costruire la propria identità e la peculiarità del proprio discorso poetico. Ironia e dissacranti trovate d’ingegno lasciano inoltre ampio spazio alla dolente consapevolezza di una condizione di sradicamento che di fatto radica il canto nell’ovunque, dal “grande villaggio” di Wellington, a quella “Waste Land” londinese che solo la sacralità degli affetti è in grado di popolare.

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