LAMBERSY, Werner, I

lambersy_horlogeWerner Lambersy, L’orologio di Linneo

“L’orologio di Linneo, così come ho voluto un’espressione dell’epoca”, mi scrive Werner Lambersy, “sottolinea il fatto che a ogni istante, in ogni parte del mondo si apre un fiore, a segnare la nascita di un sentimento planetario che dovrebbe unirci. Perché eccoci, ‘tutti sulla stessa barca’, la sola possibile, forse…” Queste parole dirette, efficaci esattamente come la lingua poetica di Lambersy, sintetizzano lo spirito della raccolta qui presentata, che si apre come un  percorso di ricerca attenta del poeta nelle vesti di esploratore aperto e ricettivo a ogni minimo sussulto del reale, pioniere della nostra coscienza oscura e rabdomante della luce. Lasciando sempre spazio a una riflessione metapoetica “discreta”,  che s’insinua tra le righe inaspettata, senza mai sostituirsi né sovrapporsi alla rappresentazione del dato oggettivo, bensì potenziandola. E noi che seguiamo il poeta esploratore, non distinguiamo mai con assoluta certezza se in questi versi la realtà esista in virtù della poesia o viceversa. Se sia il reale a dettare parole al poeta, restituendogli fiato, o la poesia a sottrarle alle cose. Se siano le cose a lasciarsi dire, o è la poesia a prestare loro voce.

Ogni cosa è per Lambersy nutrimento dell’inesausto domandare che si snoda attraverso la totalità della sua opera, da testo a testo, da libro a libro, e che sembra trovare sempre la stessa risposta/soluzione: Amore. Amore per una donna, anche quando distante, per gli amici, anche quando perduti, per un padre gigantesco e oscuramente presente nella memoria e nell’assenza. Passione per la parola amante. La poesia di Lambersy è continua sorpresa. È raggio lieve di luce emerso da una qualche distante oscurità, per penetrare tra i rami fitti della solitudine e del dolore, rischiarare un minuscolo particolare che ridona senso all’attesa, facendo schiudere gli occhi, spaventati dall’aver conosciuto l’abisso, dall’essersi riconosciuti nel vuoto e nell’insensato. Sollevando le palpebre, scostando le ciglia, pian piano, come in un’alba inattesa. Perché in Lambersy la poesia è sempre quel che viene dopo. Dopo una gioia alta, un dolore che schiaccia. È la falsa quiete di una tristezza ardente, il raccoglimento carico d’energia che precede lo slancio  verso la rincorsa, la prima pietra poggiata sulle rovine del sentimento sempre rinascente dell’Altro e del mondo, è la pazienza necessaria ad “Amare la pace delle polveri / sulle grandi vigne del silenzio // Lasciare le parole della pentola / cuocere a fuoco lento cantando // Attizzare la fiamma / negli angoli al buio dell’assenza”. Come per la foglia, come per gli oggetti che celebrano la loro festa notturna nella casa, il lavoro dell’umano consiste nell’esistere, nel vedere e toccare con tutti e cinque i sensi. E con il senso senso della poesia che tutti li racchiude e potenzia.

Chiara De Luca

in Werner Lambersy, L’orologio di Linneo, Kolibris 2009

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